Al pari dei marchi assume oggi un ruolo centrale il concetto di “identità digitale”.
Il concetto di identità digitale richiama, tra gli asset intangibili, il nome a dominio ovvero il nome univoco che compare dopo il simbolo “@” negli indirizzi e-mail e dopo “www” negli indirizzi web.
In generale, un nome di dominio rappresenta una risorsa Internet Protocol (IP), ad esempio un computer utilizzato per accedere a Internet (host), un server che ospita un sito web o il sito web stesso, oppure qualsiasi altro servizio comunicato tramite Internet.
A differenza degli indirizzi IP, dove la parte più importante del numero è la prima partendo da sinistra, in un nome DNS la sezione più rilevante è la prima partendo da destra: questa è detta dominio di primo livello (o TLD, Top Level Domain), per esempio”.org” o”.it”.
Il nome a dominio è, dunque, univoco ma possono esservi centinaia di diversi nomi a dominio identici che si distinguono per la sola estensione (.com; .it; .store; .online).
Dunque, l’assegnazione di un nome a dominio avviene tramite una procedura puramente tecnica esclusivamente online e gestita dal registrar di riferimento, che varia a seconda dell’estensione.
In questo scenario – in particolare fin dall’esplosione della cosiddetta web economy – insieme all’importanza dei nomi a dominio (presentati come vetrina digitale di aziende, persone ecc.) è emersa la questione collegata al c.d. mercato secondario dei nomi a dominio.
Per mercato secondario si intende quello creato da soggetti che registrano nomi a dominio non anche per utilizzarli per i propri scopi bensì per rivenderli ad altri soggetti potenzialmente interessati: tra questi rientrano i cosiddetti cyberquatter, neologismo nato ad hoc al fine di descrivere tutti coloro che registrano nomi a dominio identici o simili a nomi o marchi noti al fine di sfruttarli per trarre in inganno gli utenti di Internet o rivenderli ai legittimi interessati e, di conseguenza, trarne un illegittimo profitto.
Al fine di contrastare questi fenomeni emergenti del Cybersquatting e del Domain grabbing, si possono oggi adire le ordinarie vie legali, ovvero ricorrere a procedimenti arbitrali più rapidi.
Tali procedure, denominate comunemente “procedure arbitrali di riassegnazione” hanno l’esclusivo obiettivo di dirimere le questioni relative alla legittima assegnazione di un nome a dominio.
Trattasi di procedure puramente amministrative – previste per gran parte delle estensioni – che si svolgono davanti a enti conduttori super partes accreditati dall’ente che gestisce la rete Internet e il sistema dei nomi a dominio (ICANN) ovvero dai registrar da esso incaricati.
Gli elementi comuni tra le procedure prendono spunto dalla procedura più nota e diffusa, applicata a tutti i nomi a dominio creati con le estensioni cosiddette generiche top level domain – gTLD (le estensioni generiche più comuni incluso il .com, il .net ecc.) ed a diversi country code (ovvero i nomi a dominio collegati a singoli Paesi, come il .co relativo alla Colombia o il .au relativo all’Australia), la Uniform Domain Name Dispute Resolution (UDRP).
In tutte le procedure arbitrali, infatti, possiamo riconoscere alcuni elementi comuni: si svolgono, pur nel rispetto del contraddittorio tra le parti, esclusivamente in forma scritta e incaricano un esperto di decidere se trasferire o meno il dominio in capo a chi ha esperito la procedura.
I requisiti necessari ad avviare una procedura di riassegnazione sono principalmente tre.
Il ricorrente deve dimostrare che:
- il nome a dominio avverso cui agisce sia identico e/o simile a un marchio registrato;
- il titolare del dominio contestato non abbia avuto un legittimo interesse a registrare quel dato dominio;
- il titolare del dominio contestato lo abbia registrato in malafede con scopi presumibilmente speculativi e/o volti a danneggiare il legittimo titolare e/o sfruttarne la notorietà (sul punto esistono degli elenchi esemplificativi di circostanze che, se dimostrate, consentono di desumere l’esistenza della malafede).
Per i domini .it relativi all’Italia, cui si applica una variante della UDRP, presupposto necessario all’avvio della procedura di riassegnazione è la c.d. “opposizione al nome a dominio”, ovvero una richiesta inviata al Registro con cui si contesta un nome a dominio.
Tale opposizione ha lo scopo di “congelare” per 180 giorni (termine entro il quale deve essere avviata la procedura) l’eventuale assegnazione del dominio fino alla definizione della controversia, consentendo alla parte che ha proposto opposizione di godere di un diritto di prelazione sull’eventuale assegnazione del dominio.
L’opposizione deve essere motivata in modo chiaro: è necessaria una spiegazione dettagliata del diritto presumibilmente leso ovvero del pregiudizio subito corroborata da una significativa produzione documentale. In caso contrario l’opposizione può essere rigettata.
È bene sapere che la procedura di riassegnazione può essere esperita indistintamente da persona fisica o persona giuridica di uno stato membro dello Spazio Economico Europeo, dello Stato del Vaticano, della Repubblica di San Marino o della Confederazione Svizzera ovvero da un qualunque soggetto che agisca in forza di un titolo (a titolo esemplificativo: il licenziatario di un marchio in forza del contratto di licenza).
Come anticipato, detta procedura può concludersi con la riassegnazione del nome a dominio ovvero con il rigetto del reclamo; particolarità di tale procedura amministrativa è che l’Ente conduttore, non avendo poteri giurisdizionali, non può mai condannare la parte soccombente ad un eventuale risarcimento danni.
La procedura può poi essere interrotta nel caso in cui venga introdotto un procedimento giudiziario ovvero per sopravvenuto accordo tra le parti.
Infine, qualora il titolare del dominio non fornisse un riscontro avverso le contestazioni ricevute, la controversia viene decisa sulla base del solo reclamo.
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