È infatti importante evidenziare che in un mercato caratterizzato dalla presenza di numerosi operatori, il marchio agisce come segno distintivo in grado di comunicare al consumatore di riferimento, o più in generale al mercato, un certo messaggio evocativo, emozionale, relativo ad alcune caratteristiche o qualità del prodotto o servizio a cui è associato. Il marchio indica anche che quel determinato prodotto o servizio proviene da quella impresa specifica e non da altre sue concorrenti.
Ma si può parlare realmente di tutela del marchio di fatto?
La disciplina del marchio di fatto si evince in maniera indiretta dalla combinazione di due norme, l’articolo 2571 del Codice Civile e l’articolo 12(1) del Codice della Proprietà Industriale.
L’articolo 2571 c.c. prevede che chi ha fatto uso di un marchio non registrato ha la facoltà di continuare ad usarne, nonostante la registrazione da altri ottenuta, nei limiti in cui anteriormente se ne è valso.
Mentre l’articolo 12 c.p.i. prevede che i segni diversi dal marchio registrato possano costituire anteriorità invalidanti qualora questi siano noti al mercato e non in un ambito puramente locale.
Dalla lettura delle precedenti norme ne deriva che elementi fondanti del marchio di fatto sono l’uso effettivo e la sua notorietà.
Secondo una parte della dottrina, l’uso rappresenterebbe il presupposto costitutivo del diritto sul segno, mentre la notorietà non puramente locale il presupposto costitutivo della tutela nei confronti di un successivo marchio registrato uguale o simile.
Nel caso del marchio di fatto, il titolare ha l’onere di fare uso del segno distintivo, se vuole avere riconosciuta una sua proprietà sul segno, perché non dispone di alcuna altra prova a sostegno della titolarità del segno. In un eventuale giudizio, l’unica evidenza che il titolare del presunto marchio di fatto potrà produrre è quella relativa all’uso effettivo del segno per determinati prodotti o servizi. Tale evidenza dovrà evidenziare in maniera distinta sia il preuso fatto eventualmente come ditta-denominazione sociale, che quello in funzione di marchio, oltre chiaramente anche a dimostrare la conseguente notorietà del segno.
La giurisprudenza nega la possibilità di avere un marchio di fatto qualora l’uso non sia intenzionale e continuo ma soltanto sporadico, precario o sperimentale, occasionale o si tratti di un episodio isolato di vendita.
Ma non tutti i marchi di fatto trovano la medesima tutela: ciò che porta a una loro differenziazione è il grado di notorietà.
Il Codice di Proprietà Industriale definisce i limiti del preuso, distinguendo tra marchio con notorietà locale e marchio con notorietà generale.
Il preuso locale conferisce al titolare del marchio di fatto la possibilità di continuare ad utilizzarlo per lo stesso genere di prodotto o servizio e nello stesso territorio, cioè nell’ambito dell’uso fattone, senza la possibilità di vietare a colui che successivamente registri il medesimo marchio di farne anche egli uso nel territorio di diffusione locale.
Il che configura necessariamente una sorta di regime di duopolio atto a consentire, nell’ambito locale, la coesistenza del marchio preusato e quello successivamente registrato.
Nella pratica però è anche possibile che un prodotto contraddistinto da un certo marchio, seppur commercializzato in una zona circoscritta, sia noto anche al di fuori di essa, soprattutto di questi tempi in cui si assiste sempre di più al fenomeno pubblicitario, alla crescente mobilità dei consumatori e al commercio on-line che restringono notevolmente i casi di notorietà puramente locale.
Quali gli strumenti di tutela in Italia e in UE?
Se il titolare di un marchio di fatto vuole quindi ottenere tutela per il suo diritto, potrà farlo mediante un’azione di nullità da radicare avverso il marchio depositato successivamente, questo per quanto riguarda l’Italia.
A livello di Unione europea, invece, il titolare di un diritto anteriore non registrato (tra cui, appunto, c’è il marchio di fatto) può opporsi alla registrazione di un marchio successivamente depositato, ai sensi dell’articolo 8(4) RMUE, nel caso in cui questo diritto anteriore non registrato goda di tutela nell’ordinamento dello Stato Membro del suo titolare.
Aspetto curioso è che, già solo a livello di UE, ci sono delle discrepanze per cui alcuni Stati Membri non contemplano nessuna tutela per il marchio di fatto, come ad esempio accade in Francia, Spagna, Benelux, Cipro, Croazia, Estonia, Ungheria, Lituania, Polonia, Romania e Slovenia.
La scelta del legislatore italiano (ma anche di quello UE) di riconoscere la tutela dei segni non registrati con notorietà generale solleva ad oggi non pochi dubbi, soprattutto per quanto riguarda la certezza giuridica, oltre forse a sembrare quasi un disincentivo alla registrazione. Probabilmente, almeno per quanto riguarda l’Italia, la tutela del marchio di fatto rappresenta la volontà del nostro legislatore di offrire qualche forma di protezione alla realtà imprenditoriale italiana, caratterizzata da numerosissime micro e piccole attività che sono, o sono state, in grado di resistere nel tempo e di diffondere la loro storia nel territorio nazionale o in gran parte di esso.
Perché si dovrebbe quindi scegliere la via del marchio di fatto?
La non registrazione, o la registrazione in un momento successivo rispetto all’inizio di un’attività commerciale, potrebbe derivare dall’intenzione dell’imprenditore di testare il successo di un prodotto o aspettare che l’impresa sia avviata e capace di sostenere le spese della registrazione.
La registrazione del marchio costituisce sicuramente un certo onere economico per le piccole e medie imprese, le quali, spesso, ripiegano su strumenti di identificazione meno sicuri in termini di certezza giuridica, ma senza dubbio meno costosi, quali ad esempio la registrazione di un nome a dominio per il proprio sito internet o la scelta di un’insegna per identificare il proprio negozio o il semplice utilizzo del marchio come denominazione sociale o ditta.
Ed è proprio in quest’ottica che l’uso di un marchio non registrato può apparire come la scelta più ragionevole.
Tuttavia, se è vero che la rinuncia alla registrazione del marchio consente un risparmio iniziale dei costi, non si possono però trascurare i rischi di una simile scelta che, in futuro, nel tentativo tardivo di voler tutelare o difendere il marchio in questione, potrebbe comportare dei costi ben più elevati.
Per fare un esempio, le ricerche di anteriorità che, pur essendo facoltative, consigliamo sempre di effettuare prima di depositare un nuovo marchio, hanno sì un costo che varia in funzione della portata di indagine (identità o similitudine), ma ci aiutano a verificare se il marchio prescelto è disponibile per la registrazione o meno e ci permettono quindi di evitare o prevenire eventuali conflitti con marchi anteriori.
Al contrario, se si sceglie la via del marchio di fatto e si scopre poi che un terzo ha depositato o registrato un marchio identico o simile, si può chiedere tutela del proprio marchio di fatto solo attraverso un procedimento giudiziale di nullità che, di per sé, comporta dei costi ben più elevati rispetto a quelli di un deposito e di una eventuale ricerca di anteriorità.
Questa, ricordiamo, per ora è l’unica via perseguibile, almeno fino a quando non verranno attivate le procedure di nullità di fronte all’UIBM, previste per il 2023 secondo la recentissima riforma marchi per il recepimento della Direttiva UE 2015/2436.
In conclusione, pur comprendendo che si tratta di scelte esclusivamente imprenditoriali, ci sembra chiaro che la registrazione del marchio offra dei vantaggi ben superiori a quelli di una non registrazione. Difatti, anche se comporta indubbiamente un investimento iniziale, la registrazione garantisce però al suo titolare un diritto di esclusiva certo e dimostrabile attraverso un semplice certificato di registrazione. Al fine di procedere con il deposito di una domanda di registrazione di marchio, è sempre opportuno rivolgersi a professionisti del settore esperti nel individuare quale sia la strategia di tutela più adatta.