Invenzioni dei Dipendenti e Diritto all’Equo Premio

Gli articoli 64 e 65 del Codice della Proprietà Industriale (CPI) regolamentano i diritti derivanti da invenzioni industriali concepite da lavoratori dipendenti nel corso del rapporto di lavoro. Questo articolo analizzerà come vengono disciplinate le invenzioni dei dipendenti nonché come viene determinato il diritto all’equo premio del lavoratore dipendente.

L’Art. 64 in breve

Mentre l’Art. 65 CPI disciplina le invenzioni dei dipendenti delle università e degli enti di ricerca pubblici (come già analizzato qui), l’Art. 64 CPI si riferisce a tutti gli altri casi di rapporto di lavoro subordinato.

L’Art. 64 CPI distingue diverse tipologie di invenzioni sulla base di due criteri principali: la tipologia di contratto del lavoratore dipendente e la tipologia di invenzione rispetto al campo di attività del datore di lavoro.

In particolare, vengono individuate tre tipologie di invenzioni:

  • le invenzioni c.d. di servizio (Art. 64(1) CPI), ovverosia invenzioni realizzate nell’esecuzione o nell’adempimento del rapporto di lavoro quando il contratto di lavoro del dipendente prevede l’attività inventiva e una specifica retribuzione per quest’ultima; in questo caso i diritti patrimoniali relativi all’invenzione industriale spettano interamente al datore di lavoro, mentre all’inventore spetta il diritto morale di essere riconosciuto come autore;
  • le invenzioni c.d. di azienda (Art. 64(2) CPI), realizzate sempre nell’esecuzione o nell’adempimento del rapporto di lavoro, ma che ricadono nella più complessa casistica di contratti di lavoro in cui non è prevista una retribuzione per l’attività inventiva; in questo caso i diritti patrimoniali spettano comunque al datore di lavoro ma, qualora venga ottenuto un brevetto o venga sfruttata l’invenzione in regime di segretezza industriale, al dipendente inventore spetta un equo premio;
  • le invenzioni c.d. occasionali (Art. 64(3) CPI) si riferiscono a invenzioni concepite al di fuori dell’adempimento o dell’esecuzione del rapporto di lavoro, ma che rientrano nel campo di attività del datore di lavoro; in questo caso, il datore di lavoro ha la facoltà di esercitare, entro tre mesi dalla comunicazione dell’avvenuto deposito della domanda di brevetto, un diritto di opzione per l’uso dell’invenzione o per l’acquisto del brevetto e per richiedere o acquisire brevetti all’estero, dietro corresponsione al lavoratore di un canone o prezzo.

Delle tre casistiche, quella delle invenzioni c.d. di azienda, rappresenta certamente il caso più interessante, in quanto comporta la determinazione del diritto all’equo premio del lavoratore dipendente e, soprattutto, la quantificazione di quest’ultimo.

Diritto all’equo premio

Come visto, l’equo premio va riconosciuto ai lavoratori dipendenti per cui nessun tipo di attività inventiva era prevista contrattualmente, in quanto questo ha un carattere di tipo indennitario, a fronte di una prestazione straordinaria del dipendente, ma comunque rientrante all’interno delle sue mansioni di lavoro.

Pertanto, la parte decisiva dell’attività inventiva deve essere svolta in costanza del rapporto di lavoro, in quanto devono sussistere sia un nesso cronologico che una causalità diretta tra l’attività del lavoratore nell’ambito di impiego e la realizzazione dell’invenzione. Inoltre, come già richiamato, il diritto all’equo premio deve essere riconosciuto al dipendente solamente nel caso di ottenimento del brevetto, oppure nel caso in cui l’invenzione venga utilizzata in regime di segreto industriale.

 

Dichiarazione di nullità ed invenzioni non sfruttate commercialmente

Cosa succede nel caso di dichiarazione di nullità del brevetto, per un’invenzione c.d. di azienda?

Secondo l’Art.77(c) CPI, sebbene la declaratoria di nullità del brevetto abbia un effetto retroattivo, essa non pregiudica “i pagamenti già effettuati ai sensi degli articoli 64 e 65, a titolo di equo premio, canone o prezzo”.

Tale disposizione si applica dunque a premi già corrisposti.

Inoltre, alcune distinzioni sono state fatte per quanto riguarda l’eventualità che il datore di lavoro faccia valere la nullità del brevetto per evitare il pagamento dell’equo premio al proprio dipendente.

Altra situazione non disciplinata dall’Art. 64 CPI, è quella in cui l’invenzione sia stata brevettata ma non sfruttata commercialmente. In questo caso la Giurisprudenza sembrerebbe ritenere che debba comunque essere riconosciuto un equo premio all’inventore, in quanto il valore commerciale della stessa potrebbe derivare dal solo sfruttamento dell’area esclusiva nei confronti di terzi (in particolare, si veda la recente sentenza di Milano n. 7094/2019).

 

Più inventori o brevetti multipli

Si parla di invenzione di gruppo quando il risultato dell’attività inventiva è dovuto alla collaborazione di una pluralità di soggetti che abbiano agito in maniera coordinata nel quadro di un progetto unitario.

A tal proposito, la disciplina ex Art. 64 CPI. risulta inidonea a regolamentare la realtà delle invenzioni di gruppo, essendo modellata rispetto al paradigma del singolo inventore. In particolare, non risulta chiara l’applicabilità della disciplina riguardo il diritto dell’equo premio nel caso di invenzione realizzata da più dipendenti in équipe.

La creazione intellettuale che scaturisce dalla collaborazione fra più dipendenti coinventori o coautori è infatti disciplinata dall’Art. 6 CPI, nonché dalle norme previste in materia di comunione (Art. 1101 c.c.).  Pertanto, nel caso di invenzione realizzata da più dipendenti in équipe che non siano ricercatori delle università o di enti pubblici di ricerca (per i quali vale l’Art.65 comma 1), per determinare l’ammontare dell’equo premio eventualmente spettante a ciascuno dei coinventori si dovrà applicare la presunzione di eguaglianza delle quote secondo l’Art. 1101 c.c..

A tal proposito, di particolare rilevanza sembrerebbe essere la recente Giurisprudenza (in particolare Milano n. 7094/2019), secondo la quale il diritto all’equo premio può non essere considerato come un diritto unitario valido per tutti i partecipanti nel momento in cui si deve stabilire la sua sussistenza. Tuttavia, bisogna tener conto del contributo dei singoli inventori nel momento della quantificazione dell’equo premio, in quanto la somma degli equi premi dati ai singoli inventori non può, in alcun caso, avvicinarsi al valore dell’invenzione.

Infine, nel caso di più brevetti concernenti la stessa invenzione (ad esempio, brevetti depositati in Paesi diversi, rivendicanti la stessa data di priorità), si esclude che ad ogni brevetto debba corrispondere un premio. Pertanto, il premio è unico e per il suo riconoscimento è sufficiente anche il rilascio di un solo brevetto (Cass. 27500/2017).

 

Determinazione dell’equo premio

Secondo il comma 2 dell’Art. 64 CPI, la determinazione dell’ammontare dell’equo premio deve tener conto di quattro aspetti:

  • importanza dell’invenzione;
  • mansioni svolte dall’inventore;
  • retribuzione percepita dall’inventore; e
  • contributo che l’inventore ha ricevuto dall’organizzazione del datore di lavoro.

Uno dei metodi più utilizzati per la quantificazione dell’equo premio è la c.d. formula tedesca. Tale formula permette di calcolare l’ammontare dell’indennità da riconoscere all’inventore moltiplicando un valore V, corrispondente al valore dell’invenzione, per un fattore proporzionale P, che quantifica il contributo del dipendente all’invenzione. Il valore V può essere calcolato in diversi modi e può corrispondere, ad esempio, alla cifra che l’azienda dovrebbe elargire per acquisire da terzi diritti sul titolo brevettuale. Il fattore P viene calcolato sulla base di tre indici, per ognuno dei quali si assegna un punteggio:

  • autonomia del dipendente nell’affrontare il problema tecnico alla base dell’invenzione;
  • contributo dell’impresa fornito al dipendente per la soluzione del problema tecnico; e
  • mansioni svolte e posizione del dipendente all’interno dell’impresa.

Il termine P viene convertito in una percentuale e, pertanto, il valore I dell’indennità sarà uguale alla percentuale P del valore V dell’invenzione.

 

Chi risolve le controversie

Le controversie in materia di equo premio di cui all’Art. 64 CPI sono risolte dalle sezioni specializzate in materia di proprietà industriale ed intellettuale. In particolare, per quanto riguarda l’esistenza del diritto all’equo premio, la competenza è attribuita all’autorità giudiziaria che, per le controversie riguardanti la quantificazione di tale equo premio, nel caso in cui non si raggiunga un accordo tra le parti, delega un collegio di arbitratori.

 

Il collegio degli arbitratori è composto da membri indicati dalle parti, solitamente tre arbitratori, secondo quanto disposto dalle relative norme del codice di procedura civile (articoli 806 e seguenti).

In particolare, il quinto comma dell’Art. 64 prevede che il collegio di arbitratori possa esprimersi in merito alla determinazione dell’equo premio anche in pendenza di giudizio di merito sull’esistenza del diritto all’equo premio, in cui la decisione del collegio arbitrale è subordinata alla sentenza di merito sull’accertamento del diritto.

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