Da un lato, questo è certo, affermazioni quali “fa bene all’ambiente”, “a impatto zero” etc. (cd. “green claims” o “asserzioni ambientali”) sono decisamente attrattive per il pubblico e anche per le aziende, le quali, non di rado, inseriscono questi slogan non solo nei propri prodotti ma anche nei propri segni distintivi, rendono “green” i propri brand o ne creano di nuovi, allo scopo di veicolare un messaggio ecologico.
Dall’altro lato, tuttavia, si palesa il rovescio della medaglia: i consumatori, infatti, sempre secondo recenti studi, smetterebbero di comprare prodotti di un determinato brand qualora si rendessero conto che le informazioni sulla sostenibilità fornite dal produttore siano false o non verificate.
Le aziende devono quindi prestare particolare attenzione all’utilizzo dei green claims, non solo per non deludere le aspettative gli acquirenti di fiducia (e quelli potenziali) ma anche per non incorrere in violazioni delle normative esistenti e di quelle che, a breve, verranno introdotte.
Il legislatore europeo, infatti, sensibile al tema della sostenibilità come la Gen Z, è intervenuto per porre un freno all’abuso dei green claims a livello unionale (in particolare quando utilizzati come strumento per aumentare la reputation aziendale senza realmente mettere in atto iniziative concrete a salvaguardia dell’ambiente) con particolare attenzione alle pratiche di vero e proprio greenwashing, ossia l’attuazione di strategie di comunicazione volte a costruire una immagine di brand positiva in termini ambientali, con lo scopo di distogliere l’attenzione del pubblico dagli effetti negativi (per l’ambiente) dell’attività in questione.
In particolare, evidenziamo che il 26 marzo 2024 è entrata in vigore la direttiva UE 2024/825 che introduce una disciplina armonizzata specifica volta a contrastare le pratiche commerciali scorrette e ingannevoli nei confronti dei consumatori.
La volontà del legislatore è ben chiara nell’incipit della Direttiva: “al fine di contribuire al corretto funzionamento del mercato interno, sulla base di un livello elevato di protezione dei consumatori e dell’ambiente, e di compiere progressi nella transizione verde, è essenziale che i consumatori possano prendere decisioni di acquisto informate e contribuire in tal modo a modelli di consumo più sostenibili. Ciò implica che gli operatori economici hanno la responsabilità di fornire informazioni chiare, pertinenti e affidabili”.
Tra i pilastri della norma, troviamo:
1. Le nuove definizioni di “asserzione ambientale” e di “asserzione ambientale generica”.
Con asserzione ambientale si intende “nel contesto di una comunicazione commerciale, qualsiasi messaggio o rappresentazione avente carattere non obbligatorio a norma del diritto dell’Unione o nazionale, in qualsiasi forma[…] che asserisce o implica che un dato prodotto, categoria di prodotto, marca o operatore economico ha un impatto positivo o nullo sull’ambiente oppure è meno dannoso per l’ambiente rispetto ad altri prodotti, categorie di prodotto, marche o operatori economici oppure ha migliorato il proprio impatto nel corso del tempo”.
Con asserzione ambientale generica si intende, invece, “qualsiasi asserzione ambientale formulata per iscritto o in forma orale, anche attraverso media audiovisivi, non inclusa in un marchio di sostenibilità e la cui specificazione non è fornita in termini chiari ed evidenti tramite lo stesso mezzo di comunicazione”.
2. L’introduzione di nuove pratiche commerciali ingannevoli e sleali.
Sono considerate tali:
- pratiche volte a ingannare il consumatore in merito alle caratteristiche ambientali e sociali del prodotto o in merito agli aspetti relativi alla circolarità, sulla base di una valutazione da effettuare caso per caso;
- le asserzioni ambientali relative a prestazioni ambientali future, che non siano avvalorate da impegni chiari, oggettivi, pubblicamente disponibili e verificabili fissati dall’operatore economico, e definiti in un piano di attuazione dettagliato e realistico che includa obiettivi misurabili e con scadenze precise;
- pubblicizzare come vantaggi per i consumatori caratteristiche che sono irrilevanti e non direttamente connesse ad alcuna caratteristica del prodotto, che potrebbero indurre i consumatori a credere che siano più vantaggiosi per i consumatori, l’ambiente o la società rispetto ad altri prodotti;
- il raffronto dei prodotti in base alle rispettive caratteristiche ambientali o sociali o agli aspetti relativi alla circolarità, senza fornire ai consumatori informazioni sul metodo di raffronto;
- l’uso di asserzioni ambientali generiche (ad esempio “rispettoso dell’ambiente”, “ecocompatibile”, “verde”, “amico della natura”, “ecologico”) in assenza di un’eccellenza riconosciuta delle prestazioni ambientali. Occorre precisare che un’asserzione presentata in forma scritta o oralmente combinata con dichiarazioni implicite mediante colori o immagini potrebbe costituire un’asserzione ambientale generica;
- l’uso di asserzioni ambientali che inducano il pubblico a pensare che il prodotto nel suo complesso o l’attività dell’operatore economico nel suo complesso siano “sostenibili” quando in realtà tale asserzione riguarda soltanto un determinato aspetto del prodotto o uno specifico elemento dell’attività dell’operatore economico;
- l’uso di asserzioni che sostengano, sulla base della compensazione delle emissioni di gas a effetto serra, che un prodotto ha un impatto neutro, ridotto o positivo sull’ambiente;
- la presentazione di requisiti imposti per legge sul mercato dell’Unione per tutti i prodotti appartenenti a una data categoria come se fossero un tratto distintivo dell’offerta dell’operatore economico;
- non comunicare ai consumatori che un dato aggiornamento del software inciderà negativamente sul funzionamento di beni che comprendono elementi digitali o sull’uso di contenuti digitali o servizi digitali;
- dichiarare falsamente una determinata durabilità del bene in termini di tempo o intensità d’uso in condizioni d’uso normali o la presentazione di prodotti idonei alla riparazione quando questa non è possibile. A questo proposito, il legislatore nazionale dovrà anche intervenire in merito alle ormai diffuse pratiche associate all’obsolescenza precoce, comprese le pratiche di obsolescenza precoce programmata dei prodotti (in particolare, quelli elettronici).
E, in particolare segnaliamo che ai sensi della Direttiva è vietata l’esibizione di un marchio di sostenibilità (definizione nella quale rientrano anche taluni marchi di certificazione) non basato su un sistema di certificazione o non stabilito da autorità pubbliche. Prima di esibire un marchio di sostenibilità, l’operatore economico dovrebbe garantire che, secondo i termini del sistema di certificazione disponibili al pubblico, tale marchio soddisfi condizioni minime di trasparenza e credibilità, compresa l’esistenza di un controllo obiettivo della conformità ai requisiti del sistema, che dovrebbe essere effettuato da un terzo.
È doveroso precisare che nei casi in cui l’esibizione di un marchio di sostenibilità comporti una comunicazione commerciale che suggerisce o dà l’impressione che il prodotto abbia un impatto positivo o nullo sull’ambiente oppure sia meno dannoso per l’ambiente rispetto ai prodotti concorrenti, tale marchio di sostenibilità dovrebbe inoltre essere considerato come un’asserzione ambientale.
È già stato chiarito che il mancato rispetto delle disposizioni darà luogo a sanzioni (anche piuttosto salate).
Gli Stati membri UE dovranno ora recepire la Direttiva nei vari ordinamenti nazionali entro il 27 marzo 2026.
I professionisti del nostro Studio sono a vostra disposizione per approfondire tali temi relativi alla sostenibilità, anche attraverso un incontro ad hoc che sarà organizzato da B&Z nei prossimi mesi.