Secondo la Banca Mondiale, il volume d’affari della contraffazione in generale si aggira intorno ai 350 miliardi di euro e, per quanto riguarda specificatamente l’Italia, il 2023 ha segnato il record di prodotti contraffatti sequestrati, con un incremento del 150 per cento rispetto all’anno precedente (dati della Corte dei Conti): un fattore che ha certamente determinato tali numeri è l’esplosione delle vendite online, e in generale dell’utilizzo di piattaforme online sia per la scelta degli acquisti che per le compravendite, con lo sviluppo di influencer, branded content, viral marketing ecc. conseguente ai lockdown imposti durante la pandemia di COVID-19.
Tale andamento è confermato anche dalla nostra esperienza, da cui emerge come le evoluzioni tecnologiche legate all’online abbiano reso sempre più trasversale la contraffazione: tale fenomeno non si limita infatti più ai grandi marchi del lusso e dell’alimentare, ma è ormai un fenomeno che minaccia anche le piccole medie imprese, una conseguenza sia della capillarità della distribuzione globale delle merci (si può spedire a prezzi contenuti qualsiasi cosa ovunque) che dell’abbassamento dei costi di produzione (in primis per la diffusione delle stampanti 3D). Alla prova dei fatti è difficile trovare un marchio di prodotto che non sia associato ad un utilizzo illecito online.
D’altra parte, se è sembrato che i social abbiamo trasformato le interazioni umane in un battito di ciglia lo stesso è successo alla distribuzione di prodotti online, originali o meno: ad oggi, il volume delle merci contraffatte vendute online è stimato in oltre 500 miliardi di dollari all’anno. In Italia il 72,5 per cento delle imprese ha un proprio sito Internet mentre solo il 18,9 per lo utilizza per vendere i propri prodotti o servizi e, tra quelli che vendono online, un terzo del fatturato proviene proprio dalle vendite online.
Il contraltare di tale successo è che un prodotto ogni 7 venduti online è contraffatto e che si sono moltiplicate anche le piattaforme di scambio di prodotti contraffatti: il singolo contraffattore non ha più solo il proprio sito web, ma può appoggiarsi a centinaia di e-commerce, specializzati in determinate geografie o tipi di utenti.
Pirati e contraffattori sembrano d’altra parte i più pronti a recepire le nuove tecnologie che spesso faticano ad essere inquadrate chiaramente come fattispecie di violazione dal legislatore: la prima normativa a livello europeo che ha cercato di contrastare organicamente il fenomeno della contraffazione online risale al 2000 e il più rilevante aggiornamento è arrivato solo quest’anno, con il Digital Service Act che punta a fornire nuovi strumenti agli operatori dell’anti-contraffazione online alla luce di tutte le trasformazioni avvenute negli ultimi 20 anni e in attesa di capire come reagire alle prossime minacce, prime fra tutte quelle derivanti dalle applicazioni dell’Intelligenza Artificiale.
Tali nuovi strumenti tecnologici sono naturalmente anche disponibili agli operatori del settore, aziende e professionisti dell’Online Brand Protection, che devono costantemente aggiornarsi per proteggere i propri prodotti efficacemente tramite l’adozione di misure e servizi su misura al fine di ritagliare programmi di sorveglianza online sul mercato rilevante online per il brand oggetto delle attività, con l’obiettivo di eliminare il maggior numero di annunci di prodotti contraffatti e spingere, a fronte di un impegno da parte del brand, i contraffattori meno strutturati a rinunciare o cambiare obiettivo, nonché ad individuare – tramite una costante interazione tra online e offline – i contraffattori più affermati e recidivi per eliminare il fenomeno alla radice.
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