In questo contesto, la mancata valorizzazione delle tecnologie sviluppate comportava e comporta tutt’oggi uno svantaggio in termini economici per queste istituzioni e anche un potenziale impedimento alla crescita e allo sviluppo del Paese.
Nel 2001 il Governo italiano ha introdotto una normativa speciale allo scopo di incentivare la tutela delle invenzioni concepite all’interno delle università, sia pubbliche sia private, e degli enti pubblici di ricerca, al fine di favorire la trasformazione delle invenzioni in progetti concreti e dunque alimentare la spinta economica.
Ad oggi, la tutela delle invenzioni dei ricercatori universitari e degli enti pubblici di ricerca è regolamentata dall’art. 65 del Codice della Proprietà Industriale (c.p.i.), secondo il quale il ricercatore è titolare esclusivo dei diritti derivanti dall’invenzione di cui è autore, fatto salvo il diritto delle università o enti pubblici di ricerca a una percentuale sui proventi derivanti dallo sfruttamento economico del brevetto.
La normativa in oggetto ha subito poche modifiche dalla sua prima introduzione, tuttavia nel corso degli ultimi due decenni si è più volte tentato di modificare il contenuto delle disposizioni in essa comprese.
Storia della normativa
La Legge 18 ottobre 2001, n. 383, con l’art. 7, introduceva l’art. 24-bis all’interno della “Legge Invenzioni” (l.i. – Regio Decreto 29 giugno 1939, n. 1127), con il quale si stabiliva che il ricercatore fosse titolare esclusivo dei diritti derivanti dall’invenzione di cui era autore. Questa disposizione rappresentava un’eccezione a quanto previsto dalla disciplina concernente le invenzioni di lavoratori dipendenti, per le quali la titolarità spettava al datore di lavoro.
La disposizione del 2001 suscitò molte perplessità, in quanto privava gli istituti del diritto alla titolarità dei brevetti. Inoltre, da un punto di vista costituzionale , creava disparità tra i dipendenti delle università o enti pubblici di ricerca e i dipendenti di altre tipologie di enti o aziende.
Durante i lavori preparatori al D.lgs 10 febbraio 2005, n. 30, ossia il c.p.i. si notò che non erano stati raggiunti i risultati sperati in termini di deposito di domande di brevetto da parte dei ricercatori. Pertanto, il legislatore propose di restituire alle università e agli enti pubblici di ricerca il diritto alla titolarità delle domande di brevetto.
Un ulteriore scopo della riforma del 2005 era quello favorire la creazione, all’interno delle università e degli enti pubblici di ricerca, di strutture adeguate per il trasferimento tecnologico.
Nonostante fossero stati espressi pareri favorevoli da più parti, come ad esempio Confindustria, le modifiche sopra menzionate non furono introdotte poiché la legge delega al Governo (Capo II art. 15) per la redazione del c.p.i. prevedeva solamente una riorganizzazione delle disposizioni allora vigenti e non un cambiamento radicale delle stesse. Pertanto, il testo proposto per il nuovo art. 65 c.p.i. avrebbe rischiato di risultare incostituzionale per eccesso di delega.
L’art. 65 c.p.i. mantenne dunque il testo dell’art. 24-bis l.i. e l’unica modifica apportata fu l’aggiunta del comma 5. Il nuovo comma, nel caso di invenzioni concepite nell’ambito di ricerche finanziate in tutto o in parte da soggetti privati o da soggetti pubblici diversi dall’ente di appartenenza del ricercatore, facendo faceva dedurre che si dovesse applicare la normativa sui lavoratori dipendenti.
Nel 2010, in occasione della nuova riforma del c.p.i, questa volta il Governo veniva delegato (Legge 23/07/2009 n. 99, art 19) a modificare il testo dell’art. 65 c.p.i. in modo tale che la titolarità delle invenzioni fosse restituita alle università o enti pubblici di ricerca.
Fu dunque redatto il nuovo testo dell’art. 65 c.p.i. secondo quanto previsto dalla delega. Tuttavia, per motivi ancora oggi sconosciuti, l’art. 65 c.p.i. venne lasciato inalterato nel D. lgs. 13/08/2010 n 131.
L’attuale articolo 65 in breve
Secondo l’art. 65 c.p.i. ad oggi in vigore:
- il ricercatore è titolare esclusivo dei diritti derivanti dall’invenzione brevettabile di cui è autore. In particolare, in caso di più inventori, i diritti derivanti dall’invenzione appartengono a tutti in parti uguali, salvo diversa pattuizione.
Secondo la disposizione vigente, inoltre, l’inventore è tenuto a comunicare l’avvenuto deposito della domanda all’amministrazione di appartenenza (art. 65 (1) c.p.i.);
- all’università o ente pubblico di ricerca spetta tra il 30% e il 50% dei proventi o dei canoni di sfruttamento dell’invenzione, nonché il diritto di stabilire tale percentuale (art. 65 (2, 3) c.p.i.);
- per l’università o l’ente pubblico di ricerca è prevista la possibilità di acquisire automaticamente una licenza gratuita, non esclusiva, di sfruttare l’invenzione, qualora l’inventore non abbia sfruttato economicamente la stessa, a meno che ciò non derivi da cause indipendenti dalla sua volontà, per almeno cinque anni (art. 65 (4) c.p.i.); e
- le disposizioni precedenti non si applicano in caso di ricerche finanziate, in tutto o in parte, da soggetti privati o da soggetti pubblici diversi dall’università, ente o amministrazione di appartenenza del ricercatore (art. 65 (5) c.p.i.). In questo caso, dunque, l’articolo sembra rimandare alle disposizioni dell’art 64 c.p.i., che regola i diritti degli inventori lavoratori dipendenti.
Interpretazione dell’articolo 65
L’art. 65 c.p.i. ha destato numerosi dubbi di interpretazione e di applicabilità, tanto che le università e gli enti pubblici di ricerca hanno sentito l’esigenza di dotarsi di regolamenti interni che risolvono le incertezze derivanti dal testo della normativa.
In particolare, non è chiaro quali figure professionali siano comprese nel termine “ricercatore”. Infatti, molti regolamenti universitari e degli enti pubblici di ricerca stabiliscono che il termine “ricercatore” non comprende né i lavoratori con contratto di tipo parasubordinato, ad esempio i dottorandi e gli assegnisti di ricerca, né gli studenti.
Inoltre, non è chiara l’applicabilità della disciplina riguardo le quote spettanti a ciascun avente diritto nel caso di invenzioni concepite da più inventori appartenenti sia a università o enti pubblici di ricerca sia a enti privati, quando l’ente privato in questione non finanzia direttamente la ricerca. Tuttavia, questi aspetti sono solitamente definiti mediante contratti ad hoc.
La disposizione, inoltre, lascia un vuoto normativo nell’ipotesi in cui il ricercatore dipendente decidesse di non voler procedere con la brevettazione dell’invenzione, ad esempio preferendo la pubblicazione dei risultati scientifici conseguiti.
Un altro aspetto non affrontato dal legislatore riguarda la mancata ottemperanza all’obbligo di comunicazione e le relative tempistiche. Non sono infatti previste sanzioni di alcun tipo per tale inosservanza. In questo caso, se da un lato i regolamenti delle maggiori università italiane spesso stabiliscono le tempistiche di comunicazione, dall’altro non prevedono eventuali sanzioni per la loro inosservanza.
Non è poi chiaro se l’università o l’ente pubblico di ricerca abbia la possibilità di rivalersi contro un inventore nel caso in cui questo abbia ceduto i diritti brevettuali a condizioni economiche particolarmente svantaggiose.
Ulteriori critiche sono state mosse per quanto riguarda il diritto dell’università o ente pubblico di ricerca di acquisire automaticamente una licenza gratuita non esclusiva in seguito al mancato sfruttamento dell’invenzione per almeno cinque anni. In alcuni settori, come ad esempio l’elettronica, questa disposizione rischierebbe di essere applicata solamente a invenzioni ormai prive di un interesse economico effettivo. Inoltre, lo stesso c.p.i. prevede che chi sia interessato possa richiedere una licenza obbligatoria onerosa, già dopo tre anni di mancato utilizzo dell’invenzione (art. 70 c.p.i.).
Rimane inoltre da chiarire come interpretare il ruolo del dipendente di università o ente pubblico di ricerca nel caso di progetti finanziati, in tutto o in parte, da enti privati o da soggetti pubblici diversi dall’ente di appartenenza del ricercatore. Infatti, i diritti dei lavoratori dipendenti, come stabiliti dall’art 64 c.p.i., possono includere un equo premio per l’inventore, in base alla tipologia del contratto lavorativo. Con le disposizioni vigenti, tuttavia, non è chiaro né se sia previsto l’equo premio per i ricercatori in caso di ricerca finanziata, né da chi debba essere eventualmente elargito. Si ritiene quindi che questi aspetti debbano essere essenzialmente definiti in fase contrattuale.
Infine, l’art. 65 non prevede disposizioni speciali per altre forme di tutela, quali ad esempio i disegni industriali, le nuove varietà vegetali, le topografie dei semiconduttori. Tuttavia, alcuni regolamenti universitari hanno colmato questo vuoto legislativo, equiparando tali trovati alle invenzioni.
Considerazioni finali
A seguito dell’introduzione delle disposizioni sopra discusse, molte università ed enti pubblici di ricerca hanno introdotto, nell’ambito della loro organizzazione, uffici dedicati alla valorizzazione del trasferimento tecnologico. Inoltre, questi istituti hanno definito regolamenti interni a completamento della normativa vigente.
I tempi potrebbero essere quindi maturi per restituire la titolarità delle invenzioni alle università ed enti pubblici di ricerca, coerentemente alle disposizioni vigenti negli altri paesi europei.